24-11-13

 

STAGIONE TEATRALE 2012/2013

Campagna Abbonamenti

Fondazione Toscana Spettacolo

Stagione Teatrale 2012/2013

info e prenotazioni

Biblioteca Comunale Arcidosso  0564 966438

cell. 338 3042299

 

Arcidosso (GR)

Teatro degli Unanimi

 

 

Giovedì 13 Dicembre 2012 - ore 21,15

Teatro delle Donne

 

"IN NOME DEL POPOLO ITALIANO"

di Matteo Bacchini
con Daniele Bonaiuti e Silvia Frasson

E' la deposizione strampalata di un “romanesco” manesco che illustra a un maresciallo dei carabinieri come si trasforma un matrimonio in un funerale, con annessa testimonianza della sposa in quanto persona disinformata dei fatti (e di tutto il resto).
Il fattaccio di cronaca nera resta in secondo piano - anche e soprattutto nella coscienza dei protagonisti - e i riflettori sono puntati sulla “ filosofia de vita “ di due fratelli sballottati in un mondo diventato troppo complicato da capire. Un’armata brancaleone ridotta ai minimi termini che combatte la sua battaglia quotidiana contro l’italiano (la lingua) e lo straniero (gli albanesi i barboni i milanesi i napoletani i negri e il pandoro di Verona, in ordine di apparizione).Una piccola tragedia all’italiana che riprende dalla commedia all’italiana il gusto di far parlare i poveri diavoli, gli ultimi che saranno gli ultimi. E di farli parlare a modo loro, con una lingua che dà voce ai sentimenti più bassi (e più sinceri) del popolo italico, saltando gli ostacoli della grammatica e del vocabolario. I Mostri quarant’anni dopo, anche se non siamo più negli anni ‘60 e sul palco - come nel resto d’Italia - c’è poco da ridere. Centocinquanta anni dopo Garibaldi, il ritratto del belpaese è un frullato di ignoranza, un cocktail di luoghi comuni, una miscela pericolosa di consumismo e miseria. Aggiungere un bel po’ di TV e un pizzico di scuola dell’obbligo, agitare bene e servire prima che evapori senza lasciare traccia. O che vi esploda in faccia.

 

durata 1h

 

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Martedì 18 Dicembre 2012 - ore 21,15

Bags Entertainment

 

Paolo Nani

Kristjan Ingimarsson


in

"L'ARTE DI MORIRE RIDENDO"

The Art of Dying


La morte si sconta ridendo. E cosi si supera il grande tabù che tutti (o quasi tutti) cerchiamo di ignorare ma che inevitabilmente (tutti ma proprio tutti) dobbiamo affrontare. Ottanta minuti di comicità e commozione senza parole, ma con tantissima vita dentro. Paolo Nani e Kristjan Ingimarsson sono due clown, due attori al culmine della carriera, nel bel mezzo di una fortunata tournée. Improvvisamente uno di loro apprende che sta per morire. Ma come si fa a pensare alla morte di un clown per definizione destinato alla risata, alla complicità scherzosa col suo pubblico che vuole dimenticare e passare oltre le delusioni e i rimpianti? Non ci sono istruzioni al riguardo. Insomma come si fa uscire di scena dignitosamente, a togliere il disturbo senza creare disagio e imbarazzo a chi ci guarda e ci sta attorno? Quando non resta nulla da perdere è il momento di godersi la fatal ”ora” come mai si è fatto prima. Ma nel fantastico mistero della “Vita Prima della Morte”, nulla va esattamente come dovrebbe. Paolo e Kristjan sono le due maschere estreme del teatro, quella che ride e quella che piange. E insieme giocano, se la spassano, si spalleggiano e duellano fino all’ultima risata, sera dopo sera, complici e amici, ma anche concorrenti, sempre pronti a rubare all’altro un applauso in più. Un sipario che scopre l’altra faccia del teatro, il dentro e il fuori, in palcoscenico e dietro le quinte, in un continuo scambio fra realtà e finzione, vita vissuta e vita recitata, verso il pubblico e ritorno. Fra continue gag e esilaranti schermaglie, a un passo dalla leggerezza e dalla poesia, dalla lacrima e dal sorriso.

durata 1h 20'

 

 

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Venerdì 11 Gennaio 2013 - ore 21,15

COMPAGNIA MASTRELLA-REZZA

 

"PITECUS"

 

con Antonio Rezza, Flavia Mastrella
quadri di scena di Flavia Mastrella
(mai) scritto da Antonio Rezza
assistente alla creazione Massimo Camilli
consulente tecnico Mattia Vigo
disegno luci di Maria Pastore

Provocatorio, estremo, inclassificabile. Viaggia su binari di volta in volta tortuosi e imprevedibili, il teatro di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, coppia incendiaria della nostra scena, che coniuga con scandalosa progettualità le ragioni della creazione artistica (in senso estetico) coi deliri della drammaturgia (in senso narrativo). Come fosse l’ultimo approdo di un discorso sull’assurdo, incalzato dalla crudeltà di Artaud, Rezza e Mastrella inseguono una teatralità fuori dagli schemi, delirante e disturbante, costruita sui meccanismi del non sense, della gag cinica, dell’eresia affabulatrice e della fisicità non consolatoria, non di rado chiamando in causa l’ignaro spettatore come “ostaggio” della messinscena. Pitecus, un lavoro del 1995, è il loro manifesto e il loro biglietto da visita. Un classico. Che a distanza di tanti anni non ha perso un’oncia del suo potenziale incendiario e provocatorio. L’universo “Rezza/Mastrella”, è un incubo in progress, un delirio spasmodico, abitato da strane figure, maschere primitive, fessure e interstizi, fantasticherie e relitti esistenziali, metamorfosi eccentriche, pulsazioni psicanalitiche, liquide perversioni, trucchi e macchinerie, turbative d’asta e straripanti incursioni nei meccanismi della comicità. In altre parole, il nostro mondo quotidiano, disturbato e sfigurato, incalzato da sublimi cattiverie e mostri concettuali. Dove ciascuno alla fine può cogliere la sua controfigura. Fino a confondersi e svenire.
 

durata 1h 20'

 

 

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Giovedì 24 Gennaio 2013 - ore 21,15

 

Associazione Culturale Spazio Zero

 

LIVIA

facciamo che io ero morta tu eri un principe

mi davi un bacio e rivivevo

 

 

regia di Silvia Paoli
con Silvia Paoli
musiche dal vivo Francesco Canavese

Silvia Paoli è attrice comica che passa dalle pièces brillanti in costume medievale agli spettacoli dei teatri stabili con Paolo Rossi. Livia è il suo alter ego, tenera, poetica, un po’ sbagliata, disarmata e disarmante. Il sottotitolo - facciamo che io ero morta tu eri un principe mi davi un bacio e rivivevo - sa di fanciullesco, di infantile, evoca i giochi dei bambini, della “bella addormentata nel bosco”, delle favole e del principe azzurro. Sempre sotto i suoi infiniti riccioli a caduta libera, sul palco è tutte quelle donne che tentano in ogni modo di stare al passo con i tempi, con le ultime mode, di trovare le parole giuste, le frasi fatte, gli abiti trendy, e che, inevitabilmente, sono sempre in ritardo, inadeguate, in errore, imperfette, un po’ sconfitte e frustrate. “Credo che proprio nella normalità, nel quotidiano, si nasconda il segreto, l’originalità e lo stupore che spesso dimentichiamo nel nostro affannarci ad essere originali, ad evitare la banalità. Avevo bisogno di parlare di donne senza che la protagonista del monologo fosse una vagina o una vedova, un’aspirante suicida o una supereroina. Livia è una persona normale, fa la maestra in un asilo, non è particolarmente bella né particolarmente brutta, ha una cultura media, è una single che aspetta il grande amore. Niente di nuovo insomma”. Ma la sensibilità non è un difetto, semmai una ricchezza

 

durata 1h 20'

 

 

 

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Venerdì 8 Febbraio 2013  - ore 21,15

produzione Fondazione Pontedera Teatro

 

"GENGE' "

 

da "Uno, nessuno, centomila"
di Luigi Pirandello
drammaturgia di Roberto Bacci
e Stefano Geraci
regia di Roberto Bacci
con Savino Paparella
Francesco Puleo e Tazio Torrini
musiche di Ares Tavolazzi


Il genio pirandelliano genera sdoppiamenti. Anzi triplicamenti. Come in questo caso. Che di Gengè ne vediamo tre. Ci stanno tutti. Perché la crudeltà va condivisa, il disamore è un contagio, la complicità un bel gioco. Alla base della storia di questo lungo, implacabile, ossessivo racconto che è Uno, nessuno e centomila l’eterna domanda: “possiamo scegliere di cambiare la nostra vita?”. Certo. Finendo in manicomio e saltando nel buio accecante della follia. L’automatismo pirandelliano è perfetto come un avvitamento senza fine. Uno sfinimento senza incipit. Un delirante accanimento per scoprire quello che non c’è e inseguire l’altro che non c’è: il “fuori” di e da sè. La prigione che ci serra non ha sbarre metalliche, ma ben più costrittive gabbie mentali. Intelaiature che spesso non lasciano passare neppure quell’elementare filo di luce della speranza. Bacci, dopo L’uomo dal fiore in bocca e La poltrona scura, torna con più agguerrita sicurezza e magnetica agilità. Il naso cangiante di Vitangelo Moscarda alias Gengè non dà scampo. L’identità, semmai c’è stata, irrimediabilmente perduta. Tra i “centomila” che potrebbe essere resta quel “nessuno” che voleva essere “uno”. Dunque, l'unico modo per vivere in ogni istante è vivere attimo per attimo la vita, rinascendo continuamente in modo diverso. In altre parole continuamente morire.


durata: 1h 5’

 

 

 

 

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Venerdì 22 Febbraio 2013 - ore 21,15

Associazione Teatro Buti

 

"IL CAMMINO"

 

di Bernard Marie Koltes
traduzione Luca Scarlini
musica e messa in scena a cura del collettivo
assistente al collettivo Gloria Bazzocchi
con Giovanna Daddi, Dario Marconcini, Silvia Garbuggino, Gaetano Ventriglia Palco Scenico Valeria Foti, Riccardo Gargiulo
foto di Massimo Agus

 

E’ il terzo Koltes di fila per Marconcini, dopo Amleto e Coco, un altro tassello di una scrittura teatrale traumaticamente antropologica e “fastidiosamente” contemporanea cha ha innervato come poche altre gli ultimi scampoli del 20simo secolo. Koltes scrive Il cammino (nell’originale La marche) nel 1971, a 23 anni, e per la sua originalità e audacia poetica alcune pagine brucianti sembrano uscire dalla penna di Artaud. Koltes rivela e anticipa quei temi aspri e enigmatici che saranno il sale della sua drammaturgia. In scena quattro personaggi: lo sposo, la sposa, la fidanzata, il fidanzato. Disarcionato il contenuto squisitamente narrativo resta la trama psicologica, il sottile gioco di interferenze che l’attore deve stabilire col personaggio (che a sua volta resta vago, incredulo e scivoloso): una sorta di scandaglio di uno stato d’animo, di un universo interiore prima che appropriazione di un ruolo, di un carattere o di una maschera. Siamo dentro una cerimonia sacra, un viaggio mistico fra l'amore e la morte, fra un mondo lontano perduto che appartiene alla radura del mito, e un mondo a venire dove esiste ancora un qualche sussulto e con “l'urlo” si afferma la propria volontà di vivere. Un testo scolpito in un linguaggio poetico, difficilmente “rappresentabile”, che disegna un percorso intimo e misterioso di conoscenza e rivelazione del proprio io. Destinato a dialogare con una insinuante partitura musicale (Coltrane, Glass, Lennon, Bach) mentre la scenografia definisce due percorsi paralleli, due passerelle ai lati riservate ai fidanzati e al centro una pedana-zattera dove i due sposi, nella loro ieratica immobilità, scandiscono versi del Cantico dei Cantici.

durata: 1h 10’

 

 

 

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Venerdì 1° Marzo 2013 - ore 21,15

Teatro dell'Argine

"ATTO FINALE - FLAUBERT"

 

dal romanzo Bouvard et Pécuchet di Flaubert
regia di Mario Perrotta
assistente alla regia Alessandro Migliucci
con Mario Perrotta, Lorenzo Ansaloni, Paola Roscioli, Mario Arcari
musiche eseguite dal vivo da Mario Arcari
 

 

Con Atto finale-Flaubert, la riscrittura del capolavoro incompiuto di Flaubert Bouvard e Pecuchet, Mario Perrotta ha concluso la sua Trilogia dell’individuo sociale (2009-2011), iniziata con Il Misantropo di Molière e continuata con I Cavalieri di Aristofane. Un progetto composito e unico nel suo genere nel teatro italiano che gli è valso il premio Ubu. Un progetto pensato per rispondere ad un interrogativo: siamo per natura individualisti o animali sociali?. Dopo lo scontro frontale di Misantropo tra individuo e società, e dopo lo sconquasso sociale de I Cavalieri, Perrotta si interroga con Flaubert sull’Uomo solo di fronte a se stesso; e lo fa attraverso le grandi domande della vita scivolate nella società post telematica. I due protagonisti dello spettacolo, “abbandonati” da Flaubert – che muore prima di compiere l’opera –, sono emblemi di una profonda e ridicolissima solitudine. “I due uomini, pur essendo in due, sono soli – spiega Perrotta –. Nella mia riscrittura i due, impiegati parigini, si trasformano in uomini del nostro tempo che, chiusi volontariamente in uno spazio non meglio identificato, tentano l’impresa impossibile: affrontare e risolvere il dolore esistenziale che li assedia studiando e indagando il web alla ricerca di soluzioni, in una vorticosa ascesa verso il ridicolo involontario”. Uno spettacolo che partendo da Flaubert attraversa la drammaturgia del Novecento per proporsi come ideale prosecuzione di Beckett e il suo Aspettando Godot.

 

durata: 1h 20’

 

 

 

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Mercoledì 13 Marzo 2013 - ore 21,15
 

Arca Azzurra Teatro

"MANDRAGOLA"

 

di Niccolò Machiavelli
ideazione dello spazio, adattamento e regia di Ugo Chiti
con Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali,

Massimo Salvianti, Lucia Socci e Lorenzo Carmagnini, Giulia Rupi, Paolo Ciotti
Mandragola - nella foto D. Frosali, A. Costagli, L. Carmagnini _arca Azzurra(ph L.Bojola).jpg


È considerato il capolavoro teatrale del Cinquecento. L’autore è lo stesso fiorentino che vergò con cinismo e durezza, nel volume del Principe, il motto-epitaffio-massima secondo cui “il fine giustifica i mezzi”. Ne La mandragola, sicuramente con toni più scanzonati e leggeri, comunque si toccano temi “politici”, primo tra tutti la corruttibilità della società italiana. Da una parte c’è Callimaco, “amante meschino”, innamorato di Lucrezia, “giovane molto accorta”; dall’altra c’è Messer Nicia, il marito, uno stolto e ricchissimo intellettuale, “dottore poco astuto”, unica vittima della terribile beffa inscenata alle sue spalle. I complici: il viscido servo Siro, “parassita di malizia”, e l’amico astuto Ligurio. Lucrezia non riesce ad aver figli e Callimaco si finge medico per somministrarle una pianta medicinale, “la mandragola”, che però al primo amplesso risulterà fatale per l’amante. In mezzo, ovviamente, c’è anche la Chiesa a benedire i sotterfugi con il personaggio di Fra’ Timoteo, “prete corrotto e avido”. Nella rappresentazione del tradimento – da sempre lo sport nazionale nostrano –, secondo la lezione di Machiavelli, l’Arca Azzurra e Ugo Chiti hanno trovato un modo felice nello stare sulla scena. È come imbattersi in parenti lontani mai incontrati, come riconoscersi, dopo tanto viaggiare, in una fotografia di centinaia d’anni prima.

 


durata: 2h

 

 

 

 

 

Ultimo aggiornamento:  24-11-13